Nella rete dei contratti

contrattiDimmi che contratto hai e ti dirò chi sei! Questo è un modo di dire che possiamo utilizzare per raccontare in qualche maniera la complessità e la varietà di contratti di lavoro che ci sono nel nostro sistema di regole. Quanti contratti di lavoro ci sono e come sono utilizzati? Premesso che una risposta totalmente esaustiva è difficile da dare in un post di un blog, proviamo comunque a tratteggiare una panoramica che speriamo possa essere utile ad orientarsi meglio.

Rispondere alla domanda “quanti sono i contratti” è relativamente facile. A questa pagina web c’è un elenco di tutti i contratti: sono una decina anche se molte delle forme illustrate possono avere variabili diverse. Le variabili principali che distinguono i contratti sono due: il tempo e la dipendenza. Ci sono contratti che hanno una scadenza temporale e quelli che non ce l’hanno e poi ci sono i contratti che prevedono una subordinazione ad un datore lavoro ed altri invece che configurano forme di lavoro autonomo. Le forme contrattuali che già molti di voi conoscono sono: la somministrazione di lavoro nel quale un’agenzia mette a disposizione il suo personale in base alle esigenze dell’impresa; il lavoro a chiamata che permette al datore di lavoro di chiamare il prestatore di lavoro all’occorrenza (ma può essere stipulato solo con soggetti di età inferiore a 24 anni, oppure, di età superiore a 55 anni); le collaborazioni coordinate continuative (co.co.co., che non durano più di 30 giornate nel corso dell’anno solare e comunque retribuite sotto i 5.000 euro annui)  e le co.co.pro. possibili solo se subordinate all’esistenza di un progetto. Il contratto a progetto non prevede un orario rigido o un monte ore da raggiungere, ma solo il completamento del progetto entro i temi indicati. Dal 2016, in base alle novità introdotte dal Jobs Act, le collaborazioni saranno possibili solo in settori coperti da un accordo sindacale; il  lavoro accessorio che è quello retribuito dal committente con dei voucher (o buoni lavoro), che includono i versamenti minimi assicurativi e previdenziali. Le attività lavorative retribuite con i voucher non possono superare i 5.000 euro totale annui (il Jobs Act alzerà probabilmente questo limite a 7.000 euro), e i 2.000 euro per ogni committente.

E poi arriviamo al tanto contrastato contratto a tempo indeterminato. Con il “Jobs act” quando parliamo di contratto a tutele crescenti in realtà non stiamo parlando di un nuovo contratto di lavoro: è il nuovo modo con il quale funzionerà il contratto a tempo indeterminato. Per questo se vi capitasse di firmarlo trovereste sempre la stessa denominazione, non quella che si legge sui giornali.
La novità è che dall’entrata in vigore delle nuove regole chi verrà assunto con questo tipo di contratto non godrà più delle tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In poche parole se un lavoratore verrà licenziato ingiustamente per motivi discriminatori o disciplinari (nel caso in cui il fatto contestato non sussista) potrà essere reintegrato e riottenere il proprio posto di lavoro; negli altri casi di licenziamento illegittimo perderà il proprio posto ma avrà diritto a un risarcimento crescente a seconda dei mesi di lavoro effettuati presso quel datore di lavoro.

L’aspetto critico di queste novità è che si creerà un sistema duale in cui ci sono nello stesso posto di lavoro persone che hanno le tutele dell’articolo 18 e i nuovi assunti che non le hanno. L’altro aspetto importante legato al contratto a tempo indeterminato è che per quest’anno le aziende che lo utilizzeranno avranno una importante riduzione delle tasse (fino a 8.060 euro all’anno) e questo dovrebbe aumentare il suo utilizzo. C’è però la probabilità che le imprese utilizzeranno questo sgravio fiscale per assumere lavoratori con esperienza e già “pronti all’uso”, e questo non aiuterebbe soprattutto i giovani.

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