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Le capacità diverse

C’è una differenza sostanziale tra avere capacità tecniche e avere la capacità di svolgere un’attività lavorativa. C’è una differenza tra conoscere tutti gli aspetti di una professione e riuscire invece a esercitarla con “naturalezza” mi verrebbe da dire. Il motivo è semplice e al tempo stesso poco intuibile solitamente: l’ambiente di lavoro, qualunque esso sia non è fatto solo di competenze tecniche ma anche di altri aspetti fondamentali che sono legati ad altre nostre abilità, modi di fare e interagire di cui abbiamo poca percezione.

Tra le abilità di genere diverso, per così dire, ce ne sono un paio su cui vorrei portare l’attenzione. La prima è legata alla modalità e alla capacità che abbiamo di relazionarci con gli altri. Non significa essere i simpaticoni di turno o quelli che hanno sempre qualcosa da dire. Quella di costruire relazioni è una dote umana innata sulla quale noi possiamo incidere soltanto rispetto allo stile che vogliamo dare alle nostre relazioni (o che diamo senza neppure accorgerci). Il modo con il quale ci relazioniamo con gli altri è importante anche nell’ambiente di lavoro perché spesso condiziona anche la qualità di quello che facciamo: credo che sia abbastanza evidente il fatto che lavorare accanto a qualcuno che non parla quasi mai o, al contrario, a qualcuno che chiacchiera in continuazione, non sia il modo più agevole di farlo. Ma dobbiamo fare attenzione anche alle parole e agli atteggiamenti che abbiamo nelle nostre attività lavorative: dosare la confidenza con cui trattiamo i colleghi, rispondere con il giusto tono ad un responsabile, dimostrare affidabilità nel ricoprire le responsabilità. E anche cose meno evidenti come il modo di salutare, quello di parlare in pubblico e quello di rappresentare il posto in cui si lavora (specialmente se quel posto e lavoro sono facilmente riconoscibili all’esterno). La capacità di comunicare e di relazionarsi non è una capacità chiave per fare un lavoro, ma lo è di sicuro per trovarlo e mantenerlo.

La seconda capacità su cui voglio soffermarmi è la capacità creativa. È vero che spesso si è portati a credere che si tratta di un’attitudine che ha a che fare con l’essere artistici, istrionici o semplicemente originali, ma personalmente sono convinto che la creatività sia anche una capacità che tutti possiamo esercitare per migliorare. Di che cosa è fatta la creatività? In questo articolo di nuoeutile.it vengono descritte quali sono le quattro capacità creative fondamentali (fluidità, flessibilità, originalità ed elaborazione). Come sottolinea anche l’autrice Annamaria Testa, la creatività non è “spensieratezza” incosciente, ma “vuol dire, invece, avventurarsi in spazi creativi non ancora percorsi da nessuno, cercando soluzioni nuove ed efficaci. E sapendo che efficacia, semplicità e bellezza (o, in senso matematico, eleganza) spesso coincidono“. Perché la creatività può essere utile in (quasi) tutti i lavori? Secondo me perché il tempo che stiamo vivendo è mutevole, caratterizzato da forti e veloci cambiamenti ai quali possiamo reagire adattandoci velocemente o irrigidendoci sulle nostre posizioni. Il primo atteggiamento è quello che ci permetterà di sopravvivere, almeno professionalmente parlando e la creatività è un modo per mantenere sempre vivo un nostro atteggiamento positivo verso il cambiamento.

Lo faccio domani (l’arte poco nobile di rimandare)

Vi è mai capitato di avere un sacco di cose da fare? E di decidere di farle un altro giorno? La frase “lo faccio domani” crediamo sia abbastanza diffusa sia tra chi di noi è meno efficace ed efficiente, sia tra chi ha invece un sacco di cose nella propria lista delle attività da fare. In altre parole rimandare è un vizio piuttosto facile da prendere. Così succede che dovremmo preparare una relazione, controllare un budget, scrivere (magari anche un post come questo) ma prima di iniziare ci concediamo una visita a Facebook, poi clicchiamo sul link che il nostro contatto ha condiviso e da lì partiamo per altri “lidi”. A quel punto la nostra testa non è più concentrata su quel che avremmo dovuto fare e si perde per altri rivoli, senza una meta.

Perché questo accade? Un po’ senz’altro per mancanza di disciplina. Alcuni ricercatori considerano la procrastinazione fondamentalmente come l’incapacità di sapersi organizzare, come succede per altre cattive abitudini legate alla mancanza di autocontrollo, come l’abuso di cibo, i problemi con il gioco d’azzardo o la tendenza a spendere troppo. Per altri, invece, non ha a che fare con la pigrizia o la cattiva gestione del tempo, come possono dimostrare molte persone brillanti che hanno risultati sopra le media e tendono comunque a procrastinare

Per alcuni psicologi rimandare è una sorta di autodifesa: evitiamo un compito perché ci mette ansia senza restituirci una sensazione positiva. Per intenderci non è l’ansia che potremmo avere prima di giocare una partita del nostro sport preferito: quel tipo di ansia la superiamo solitamente con la voglia di giocare, di stare insieme agli altri, di vincere. Si tratta invece dell’ansia che ci fa sentire in colpa e ci fa vergognare perché non siamo all’altezza del compito da svolgere oppure non abbiamo fatto quel che dovevamo.

Il meccanismo con il quale agisce chi rimanda a domani funziona più o meno così: siccome la paura o l’ansia per il compito che ci aspetta sono insopportabili, sostituiamo quel compito difficile con uno più facile, comodo e divertente. Il comportamento è reiterato fino a che l’incombenza è troppo urgente e importante per non essere affrontata; a quel punto però diventa anche di più difficile gestione e soluzione. Esempio: dovremmo fare un certo esercizio di matematica per la lezione che avremo fra 3 giorni; oggi non la affrontiamo perché ci sembra di avere ancora molto tempo; domani ci avviciniamo all’esercizio ma ci distraiamo con altro; il terzo giorno, con sorpresa, abbiamo anche poco tempo per finirlo. Come lo risolveremo secondo voi? Sicuramente non con la nostra migliore performance. Senza contare che per qualcuno è preferibile non presentarsi a scuola piuttosto che affrontare l’esercizio e risolverlo, aggravando così ancora di più la situazione. Ma questo circolo vizioso non è proprio solo della scuola, accade con una certa frequenza anche agli adulti nel posto di lavoro.

Gli psicologi concordano sul fatto che il problema dei procrastinatori è che, invece di rimanere concentrati sui loro obiettivi a lungo termine, sono tentati a cedere alle gratificazioni immediate, che innescano quella forma di sollievo istantaneo che gli psicologi definiscono  “piacere edonico”. Gli obiettivi importanti sono più difficili ma a lungo andare portano una sensazione di benessere e soddisfazione più durevole. Se cadiamo nel tranello di pensare soltanto all’immediato e non vedere un futuro, quello che possiamo fare è cominciare a essere più attenti alla nostra dimensione futura e allo stesso tempo provare a risolvere i nostri compiti un pezzo alla volta. C’è una famosa domanda che si fa nelle sessioni formative in cui si tratta della gestione del tempo e delle risorse: come si mangia un elefante intero? La risposta più banale ma anche più giusta è: un pezzo alla volta. Questo significa che se il compito che abbiamo ci appare troppo grande, possiamo sempre spezzettarlo in compiti più piccoli, in fasi, che possiamo affrontare con maggior tranquillità e più efficacia. Provate a pensare al vostro prossimo compito come ad un puzzle: prima o poi lo finirete, basta mettere insieme un pezzo alla volta.

 

Personal branding: in English please

cover_BuildyourbrandVenerdì prossimo, dalle 17 in poi torneremo a parlare di personal branding. E lo faremo in un modo divertente e coinvolgente grazie all’aiuto di The Victoria Company, scuola di lingua con la quale stiamo collaborando per dare a tutti voi la possibilità di sperimentare e di esercitare non soltanto la lingua inglese ma anche una serie di altre competenze ed abilità.

Innanzitutto: che cosa è il personal branding? Dunque a dir la verità ne abbiamo già parlato diverso tempo fa, in questo post. Ma forse è opportuno svelarne, per chi non li conoscesse, qualche altro particolare. Dei due termini inglesi il primo non ha bisogna nemmeno di traduzione (personal) mentre il secondo, anche se ormai conosciuto, significa “marchio” (nel senso di marca, distintivo di un prodotto). Come tutti i marchi anche quello “personal” ha le sue caratteristiche specifiche e serve ad identificare in maniera quasi univoca il proprietario. Parlare di personal branding significa proprio questo: si tratta della capacità ed abilità di creare attorno alla propria figura personale una riconoscibilità valida. Così come quando vediamo una bottiglietta con la banda rossa e la scritta bianca immaginiamo che contenga la Coca Cola, così dovremmo essere in grado di creare qualcosa che ci riguarda che sia subito riconoscibile e riconducibile alla nostra persona e alla nostra professionalità. Magari senza che sia necessario appiccicarci addosso alcuna etichetta adesiva.

Fino a poco tempo fa questa cosa la chiamavano reputazione ed in parte il personal branding è anche questo. Però il concetto che sta dietro è più ampio: mentre la reputazione è qualcosa che gli altri raccontano di noi, quando parliamo di brand dovremmo essere in grado anche di governare e gestire il nostro marchio: scegliere noi le qualità da mettere in evidenza, decidere chi sono i destinatari della nostra proposta professionale, avere la possibilità di promuoverci anche in contesti in cui non c’è nessuno che ci conosce e che può parlare (si spera bene) di noi e di quello che facciamo.

Come si costruisce un brand che ci identifica professionalmente? Innanzitutto lavorando sulla qualità e validità delle nostre competenze. L’idraulico con il miglior personal brand è quello che chiamiamo e consigliamo agli amici senza dover far ricerche nell’elenco o su Google. Ma è anche quello che quando cerchiamo su Google esce tra i primi risultati con ottime recensioni. Sì, perché il nostro brand lo possiamo e dobbiamo costruire su due versanti: sulla qualità della nostra competenza cercando di far riconoscere qualità e affidabilità a tutti coloro con i quali collaboriamo. Sulla nostra capacità di comunicare quello che sappiamo fare meglio.

E se tutto questo lo vogliamo fare per andare a lavorare all’estero? Nessun problema! Venerdì 13 marzo, dalle 17 alle 19 c’è “Build your brand” un workshop utile e divertente per imparare  a costruire il proprio marchio per un pubblico internazionale. La partecipazione è gratuita ma è necessario iscriversi per prenotare il proprio posto a questo link. Il workshop sarà in lingua inglese ed è per questo necessario averne una conoscenza anche basilare (non preoccupatevi, chi lo terrà riuscirà a farvi capire tutto!). Se siete convinti che l’Italia vi va stretta e avete voglia di proporvi anche all’estero, questo appuntamento fa per voi, anzi: è imperdibile!