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Nuove professioni: scegli il tuo futuro per pianificare domani

Giovedì 13 Settembre alle ore 18,00 presso l’Informagiovani di Ancona abbiamo organizzato l’evento “Nuove professioni: scegli il tuo futuro per pianificare il domani! in collaborazione con Masterandskills, la Business School del dipartimento di Metodi e Modelli per il territorio, l’economia e la Finanza della Sapienza Università di Roma.

L’evento è rivolto a ragazzi laureati del territorio marchigiano ed ha come obiettivo il dialogo tra esperti dell’attuale mercato del lavoro ed i giovani per valutare come rendere spendibile il proprio titolo di studio sul territorio.

Manager, Imprenditori, psicologi del lavoro, la Business School Masterandskills  interverranno per presentare una fotografia dinamica dei bisogni del mercato e delle figure professionali nuove o tradizionali ma ripensate in funzione di nuovi bisogni del mercato dei giovani e del loro futuro professionale.

L’evento prevede una tavola rotonda con domande aperte da parte dei partecipanti  alle quali gli esperti offriranno risposte e soluzioni realistiche per avere un orientamento concreto al proprio futuro. Inoltre per la MasterandSkills sarà l’occasione per presentare un Master Executive: “Management per nuove strategie di crescita delle PMI”.

La MasteranSkills è una Business School nata con l’obiettivo di offrire una forte specializzazione a laureati, laureandi e professionisti provenienti dal settore economico-giuridico. Ha come mission l’erogazione di servizi formativi di alto profilo specialistico professionale ma progettati con un taglio decisamente pragmatico.

La dott.ssa Cristina Menichelli, co-fondatrice e direttrice di Masterandskills chiarisce la mission con questo intervento: “Le nostre iniziative, spesso innovative, sono concepite come una sorta di palestra formativa che si pone l’obiettivo di potenziare e massimizzare Ie performance dei singoli: i rilevanti risultati di placement dei giovani sono il frutto di un articolato lavoro complessivo, tailored (costruito su misura) sui ragazzi. La MasteranSkills non è un’agenzia per il lavoro, non offre solo la possibilità di incontro di domanda ed offerta ma è soprattutto una struttura formativa all’interno della quale i ragazzi che utilizzano al meglio l’allenamento della palestra ottengono un placement, un esito occupazionale di alto profilo. Questa è la caratteristica che ci contraddistingue”.

Se diamo uno sguardo ai numeri vediamo che MasterandSkills ogni anno forma 500 giovani, di cui l’80% trova collocamento nelle aziende nazionali, il restante ottiene una posizione lavorativa all’estero o dà vita ad un proprio progetto di imprenditoriale.

Per restare aggiornati e partecipare all’evento è necessario prenotare il proprio posto gratuito cliccando qui.

Assistente di studio odontoiatrico: una nuova figura professionale

L’A.S.O., acronimo di Assistente allo studio odontoiatrico, è la nuova figura professionale che va a sostituire quella di assistente alla poltrona in base alla Conferenza 209/2017.

Dal 6 febbraio 2018 questo profilo professionale è riconosciuto dalla legge con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.P.R. che istituisce questa nuova figura come operatore di interesse sanitario in possesso dell’Attestato conseguito a seguito della frequenza di specifico corso di formazione.

L’A.S.O. è una figura professionale che ricopre un ruolo fondamentale all’interno di uno studio dentistico svolgendo attività finalizzate all’assistenza dell’odontoiatra e dei professionisti sanitari del settore durante la prestazione clinica, alla predisposizione dell’ambiente e dello strumentario, all’accoglimento dei pazienti e alla gestione della segreteria e dei rapporti con i fornitori. Non può né deve, invece, intervenire direttamente sul paziente anche in presenza dell’odontoiatra e dei professionisti sanitari del settore. La sua attività prevede quindi una collaborazione fattiva con tutta l’equipe.

L’assistente di studio odontoiatrico può svolgere la propria attività negli studi odontoiatrici e nelle strutture sanitarie che erogano prestazioni odontostomatologiche.

A fronte di tutte queste mansioni che si trova a ricoprire, è chiaro che chi aspira a diventare assistente allo studio odontoiatrico dovrà possedere alcune caratteristiche personali, come capacità di relazionarsi con il pubblico, empatia, precisione, capacità organizzative e di gestione logistica dello studio, capacità di lavorare in autonomia ma allo stesso tempo di lavorare in team e scarsa impressionabilità.

Oltre a queste doti personali dovrà ovviamente possedere anche caratteristiche professionali acquisibili attraverso la frequentazione di un apposito percorso formativo.

Per diventare assistente allo studio odontoiatrico è, infatti, necessario seguire corsi di formazione, autorizzati o finanziati dalle Regioni o dalle Province Autonome di Trento e Bolzano, della durata complessiva non inferiore a 700 ore suddivise in 300 di teoria ed esercitazioni e 400 di tirocinio. La durata del corso non può comunque superare i 12 mesi.

Per accedere a questi corsi sono sufficienti l’assolvimento dell’obbligo scolastico e la conoscenza della lingua italiana (parlata e scritta).

Al termine del corso e previo superamento dell’esame finale si ottiene la qualifica di Assistente di studio odontoiatrico, valida su tutto il territorio nazionale.

Sono esonerati dall’obbligo di frequenza del corso di 700 ore e di superamento dell’esame finale e quindi dal conseguimento della qualifica coloro che hanno avuto un inquadramento contrattuale di assistente alla poltrona e abbiano lavorato, anche come apprendistato, per un periodo di minimo 36 mesi, anche non consecutivi, negli ultimi 5 anni antecedenti all’entrata in vigore della conferenza 209/2017.

I lavoratori già in possesso di titoli o crediti formativi inerenti alla professione di ASO, potranno pertanto ottenere una riduzione parziale o totale della durata del corso di formazione.

Per avere informazioni su questi ed altri corsi in ambito regionale, potete consultare gli elenchi sul nostro sito alla pagina formazione oppure scrivere a formazione@informagiovaniancona.com.

I mestieri dello spettacolo dal vivo

Lavorare nel mondo dello spettacolo dal vivo è per molti un sogno molto lontano, irrealizzabile per i più.

Quando si parla di spettacolo dal vivo si intendono teatro di prosa, lirico, balletto, concerto, musical, cabaret, o qualsiasi intrattenimento che preveda la presenza di uno o più artisti che si esibiscano davanti a un pubblico.

Ogni spettacolo presuppone lo sforzo realizzativo e il concorso di molte e differenti professionalità, ognuna delle quali è indispensabile al conseguimento dell’obiettivo finale che è sempre la creazione di un prodotto artistico di livello, capace di riscuotere il consenso del pubblico.

La realizzazione di uno spettacolo dal vivo è, dunque, un lavoro di gruppo, nel quale le competenze di coloro che non appaiono al pubblico sono importanti tanto quanto il talento di coloro che si esibiscono davanti allo spettatore.

Tante sono quindi le professioni che riguardano il mondo dello spettacolo dal vivo: dalle quelle prettamente artistiche a quelle organizzative per arrivare infine a quelle tecniche.

Quelle artistiche sono svolte da professionisti che partecipano all’ideazione e alla realizzazione dello spettacolo fornendo il loro contributo artistico: regista, costumista, direttore d’orchestra, coreografo, attore, ballerino, cantante, ecc.

Il personale organizzativo è quello che si occupa dell’organizzazione generale dello spettacolo dal punto di vista economico, del casting e della comunicazione.

Infine i mestieri tecnici il cui apporto è fondamentale anche in fase progettuale. Si pensi ad esempio al light designer o all’ingegnere del suono, il direttore di scena, il direttore dell’allestimento, gli elettricisti, i fonici, le sarte, i suggeritori, ecc.

I ruoli per poter lavorare in teatro sono quindi diversi ma la domanda è: come si impara?

Ogni ruolo richiede una formazione ad hoc. A questo scopo rispondono i corsi di formazione finanziati dalla Regione Marche nell’ambito del Progetto SIPARIO BIS BIS (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo).

Oltre a quelli menzionati nell’articolo di cui sopra, sono stati finanziati anche altri corsi volti a formare professionalità artistiche, tecniche e organizzative. Si tratta dei corsi per:

Tutti questi corsi sono ad occupazione garantita per almeno il 40% degli allievi disoccupati.

Come sempre le informazioni sui corsi le trovate nell’elenco corsi consultabile sul nostro sito.

I professionisti delle vacanze invernali

Dopo il successo delle passate edizioni di “Professionisti delle vacanze” rivolte alla stagione estiva, l’Informagiovani di Ancona ha deciso di cimentarsi in una nuova esperienza.

Il 28 novembre, infatti, si terrà la prima edizione del format Professionisti delle vacanze rivolto alla stagione invernale.

L’obiettivo è sempre quello di far incontrare gli operatori del settore con ragazzi e ragazze pronti a diventare potenziali professionisti delle vacanze invernali.

L’evento è rivolto ai ragazzi/e tra i 18 e 33 anni che vorrebbero lavorare come animatore in un miniclub o nel settore fitness, oppure che conoscano bene una lingua (tedesco, olandese) anche senza esperienza.

A questo appuntamento sarà presente l’agenzia Hidalgo Animazione che opera in strutture sul territorio nazionale.

Avrete quindi modo di conoscere l’agenzia, le professioni richieste e se vi interessa partecipare alla prima selezione.

Oltre ai requisiti sopra menzionati, chi aspira a diventare animatore turistico deve possedere una notevole facilità di comunicazione, un temperamento allegro, spontaneità, creatività, fantasia, capacità di resistenza alle tensioni e alla fatica, dinamismo, autocontrollo e capacità organizzative.

Pazienza, comprensione, apertura mentale ed equilibrio sono doti altrettanto importanti, così come è fondamentale una grande disponibilità a spostarsi e viaggiare per lunghi periodi.

Tra le diverse proposte formative e lavorative, l’ambito turistico e delle vacanze organizzate offre numerose possibilità interessanti e diversificate.

Per i giovani partecipare ad un evento di questo tipo offre il vantaggio di mettersi alla prova con una (forse) prima selezione con un potenziale datore di lavoro. Per arrivare preparati a questo momento potete fare affidamento sui servizi dell’Informagiovani: supervisione e revisione curriculum vitae e consigli utili sul colloquio di lavoro.

Allo stesso tempo lavorare nei villaggi/strutture turistiche invernali rappresenta un’opportunità di sviluppare competenze utili per la propria crescita personale e professionale, mettersi alla prova concretamente con un lavoro regolare e retribuito.

Se siete quindi interessati a cercare un lavoro per la stagione invernale vi aspettiamo martedì 28 novembre all’Informagiovani. La partecipazione è gratuita ma occorre prenotare il proprio posto a questo link.

Parliamo di artigianato e comunicazione

Il prossimo giovedì 23 novembre presso La Mole, uno dei grandi centri culturali di Ancona, si svolgerà l’evento ‘Professione Creatività 5 – MAKE&TELL Artigianato, Comunicazione e Connessioni. La tematica principale del pomeriggio sarà la comunicazione nella diffusione e nello sviluppo dell’artigianato. L’obiettivo sarà quello di mostrare come una comunicazione ben strutturata, originale e innovativa può, in alcuni casi, far differenza nel lancio di un nuovo business oppure favorire nuove connessioni.

L’associazione culturale Pepe Lab, che sviluppa  progetti per creativi nel territorio delle Marche, e il festival anconetano di handmade e digital Weekendoit, sono gli organizzatori di questa interessante iniziativa. In collaborazione con l’agenzia di comunicazione e web agency Tonidigrigio, vi propongono un pomeriggio di confronto e formazione con i maggiori esperti italiani del nuovo artigianato e della sua evoluzione digitale. Verranno approfondite le strategie e gli strumenti da utilizzare in tale ambito.

Il programma, diviso in due parti, inizia alle 14.30 con il workshop “I segreti per il lancio del tuo business sul mercato”. Sarà Stefano Schiavo a condurlo, professore di Politica Economica presso la Scuola di Studi Internazionali e il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento. Per dure ore, attraverso una simulazione che ci porterà nelle tipiche dinamiche di lancio di una nuova idea, capiremo fattori chiave, atteggiamenti mentali e una modalità operativa per affrontare il mercato in maniera snella. Il workshop, rivolto a studenti, imprenditori e liberi professionisti prevede una disponibilità di 30 posti a pagamento.

La seconda parte, chiamata “Make&Tell, è composta da un talk aperto al pubblico con 400 posti disponibili ad ingresso gratuito, con prenotazione obbligatoria. Dalle 16.30, numerosi ospiti d’eccezione condivideranno esperienze, riflessioni e testimonianze di sinergie tra l’artigianato e il mondo della cultura, del turismo e dell’imprenditoria. I professionisti che parteciperanno alla tavola rotonda saranno: Paolo Isabettini (architetto, collaboratore della Maker Faire e fondatore di Daje Marche), Paolo Marasca (assessore alla Cultura del Comune di Ancona), Gaia Segattini (designer, consulente e founder Weekendoit), Massimo Pigliapoco (co-founder di Tonidigrigio, Pepelab e docente ACCA Academy), Stefano Micelli (docente Università Cà Foscari di Venezia, scrittore e curatore di mostre nella Fabbrica Del Vapore di Milano), Marco Bettiol (docente di Marketing Università di Padova e scrittore), Stefano Schiavo (fondatore e di Sharazad e scrittore), Eva Vazzoler (responsabile del progetto Botteghe Digitali per Banca IFIS) e Eleonora Odorizzi (CEO Italian Stories).

Lanciare un nuovo business richiede un approccio molto particolare, il tempo e i soldi sono limitati e le probabilità di non raggiungere l’obiettivo sono molto elevate. Per fortuna, esistono metodi e strumenti per limitare i rischi. Per questo motivo, se siete degli imprenditori e avete una nuova proposta da diffondere o siete curiosi circa la comunicazione o il nuovo artigianato, non perdete l’opportunità di partecipare a questo evento e ascoltare grandi specialisti del digital italiano.

Il saldatore: patentino sì o patentino no?

Il saldatore è una persona specializzata nell’eseguire fusione di materiali tramite calore, utilizzando uno strumento particolare chiamato cannello di saldatura o elettrodo.

La saldatura è oggi a tutti gli effetti una professione specialistica. Le nuove normative europee impongono, infatti, che i saldatori dipendenti e gli artigiani (idraulici, frigoristi, impiantisti, fabbri, ecc.) siano in possesso di un apposito “patentino”, rilasciato da uno degli enti certificatori autorizzati, secondo le normative UNI EN ISO 9606, UNI EN 15614.

Per poterlo conseguire è necessario dimostrare di saper compiere alcune saldature in modo ottimale e avere delle mani esperte del mestiere.

Per avere questo titolo è necessario superare una serie di prove, per il superamento delle quali ci si può iscrivere ad un corso pratico. I corsi per diventare saldatore si compongono di una parte teorica e di una pratica.

Il corso è propedeutico all’esecuzione delle prove necessarie alla certificazione che deve essere rilasciata da un Ente riconosciuto ai fini di un reale riconoscimento.

Esistono però diversi tipi di patentino, a seconda dei materiali utilizzati, degli spessori della saldatura e delle posizioni attuate.

Il Patentino da saldatore è un riconoscimento della professionalità del lavoratore, ed è necessaria per le aziende che vogliono essere in regola con le normative sulla qualità nella saldatura.

Ha validità biennale; trascorsi i due anni, il saldatore dovrà procedere al rinnovo del patentino rieseguendo, alla presenza di un tecnico qualificato le stesse prove di saldatura realizzate in fase di certificazione.

Ad ogni patentino deve essere abbinata una Specifica di saldatura (WPS), documento di proprietà dell’azienda, che fornisce in modo dettagliato le variabili specifiche. Tale qualifica non ha validità se “utilizzata” al di fuori del contesto aziendale per la quale è stata rilasciata.

Il patentino appartiene sia all’azienda che al saldatore: qualora ad esempio il rapporto tra azienda e saldatore qualificato si dovesse interrompere, e ciò dovesse avvenire prima della scadenza del patentino, esso non avrà più valore né per l’azienda né per il saldatore.

Per essere aggiornati sui corsi da saldatore e non solo in partenza in ambito regionale è sufficiente consultare gli elenchi dei corsi sul sito dell’Informagiovani alla pagina formazione.

Le professioni nel turismo

Quando si dice turismo, vengono subito in mente gli alberghi o le altre strutture ricettive. Ma il turismo coinvolge molte figure professionali e costituisce una disciplina importante e variegata.

Per quanto riguarda la disciplina del turismo, le leggi per regolamentare le imprese fanno capo allo Stato, mentre per quanto riguarda lo svolgimento di alcune professioni, la normativa è a livello regionale.

La Regione è, infatti, l’organo che rilascia le autorizzazioni necessarie. Per le Marche la legge che definisce e regola le professioni turistiche è L.R. 11 luglio 2006, n. 9 “Testo Unico delle norme regionali in materia di turismo”.

Le professioni turistiche sono quelle che prestano attività incentrate sulla promozione turistica, i servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, allo scopo di offrire un servizio completo ai turisti e far vivere una gradevole esperienza di viaggio, anche dal punto di vista della conoscenza dei luoghi visitati.

Le professioni turistiche per così dire tradizionali sono quelle di: guida turistica, accompagnatore turistico, guida ambientale escursionistica e direttore tecnico di agenzia di viaggio e turismo.

La guida turistica e l’accompagnatore turistico sono figure autonome, che collaborano con imprese turistiche, alle quali oggi sono richieste competenze come la forte specializzazione in determinate aree territoriali, capacità narrative e di mediazione, l’ottima conoscenza di almeno una lingua straniera.

La guida turistica opera come professionista e accompagna persone o gruppi nelle visite ad opere d’arte, a musei, a gallerie, a scavi archeologici, illustrando le attrattive storiche, artistiche, monumentali, paesaggistiche e naturali. Per diventare guida turistica occorre superare un esame per l’abilitazione alla professione (Legge Regionale n.50/1985). Una volta superato l’esame, la guida potrà operare esclusivamente nella provincia dove ha conseguito l’abilitazione.

L’accompagnatore turistico segue persone singole o gruppi di persone nei viaggi attraverso il territorio nazionale o all’estero, assistendoli in tutte le fasi del percorso, fornisce elementi significativi o notizie di interesse turistico sulle zone di transito. É il referente di fiducia di un’agenzia o tour operator in una determinata località turistica.

La guida naturalistica o ambientale escursionistica accompagna persone singole o gruppi di persone in ambienti naturali o di interesse per l’educazione ambientale, illustrandone le caratteristiche territoriali, gli aspetti ambientali e storico-antropologici.

Il direttore tecnico di agenzia viaggi è il soggetto indicato dalla legislazione nazionale e regionale vigente come responsabile della gestione tecnica dell’agenzia di viaggio; si occupa degli aspetti direttivi, gestionali ed amministrativi dell’azienda, in particolare per quel che riguarda la produzione, l’organizzazione o l’intermediazione di viaggi e di altri prodotti turistici.

L’esercizio delle professioni turistiche è subordinato al possesso della specifica abilitazione. Per le guide turistiche l’abilitazione ha validità nel territorio della Provincia che l’ha rilasciata, per le guide naturalistiche ha validità nell’intero territorio regionale. L’abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche si consegue mediante superamento del relativo esame di idoneità scritto e orale.

Al momento in ambito regionale sono attivi dei corsi di formazione per l’ottenimento della qualifica di guida naturalistica o ambientale escursionistica (uno gratuito ed uno a pagamento) e del diploma di specializzazione di direttore tecnico di agenzia viaggi (gratuito).

Come sempre potete prendere visione di questi ed altri corsi negli elenchi consultabili sul nostro sito alla pagina formazione.

Carrellisti o mulettisti: l’iter formativo

Carrellisti o mulettisti sono quei lavoratori addetti all’utilizzo del carrello elevatore chiamato anche muletto.

Il carrello elevatore è un mezzo operativo dotato di ruote e azionato da motori elettrici, diesel e a gas, che viene usato per il sollevamento e la movimentazione di merci all’interno dei depositi di logistica o per il carico e scarico di merci dai mezzi di trasporto.

La normativa di sicurezza per carrellisti e mulettisti (D.LGS 81/08) stabilisce che “Nel caso l’utilizzo di attrezzature richieda conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una informazione, formazione e addestramento adeguati….”.

L’uso dei carrelli elevatori rientra tra queste attività e quindi il datore di lavoro deve garantire ai propri lavoratori addetti all’uso del muletto la possibilità di partecipare a corsi di formazione tarati sull’esperienza e competenza reale degli stessi.

Gli accordi tra Stato e Regioni del febbraio 2012 hanno stabilito che per poter guidare mezzi agricoli e industriali non è più sufficiente la patente di tipo B, ma è necessaria un’abilitazione specifica alla guida.

Non esiste una vera e propria ” Patente ” per guidare il muletto o un carrello elevatore. La legge però impone che il Datore di Lavoro utilizzi solo “carrellisti o mulettisti” addestrati all’uso in sicurezza di questi mezzi tramite specifici corsi. E’ quindi diventata consuetudine chiamare l’attestato di verifica dell’apprendimento e di frequenza a questi corsi ” Patentino per il Muletto “.

Dal 12 marzo 2013 la relativa normativa è cambiata. I corsi, secondo le nuove direttive, debbono avere una durata minima di 12 ore delle quali 8 di teoria e 4 di esercitazioni pratiche sul “muletto”.

La parte teorica illustra le pratiche basilari per guidare in sicurezza il muletto; la parte pratica serve a mettere in atto la teoria e a prendere confidenza con il mezzo.

La formazione della figura professionale di carrellista è ora demandata ad enti formativi accreditati dalla regione, mentre prima del 2013 bastava un corso presso l’azienda in cui si prestava servizio.

Per ottenere l’abilitazione alla guida dei carrelli elevatori bisogna avere 18 anni, essere in possesso della patente di guida cat. B ed essere fisicamente abili a svolgere le operazioni richieste.

Non basta ottenere la prima volta l’abilitazione ma la stessa deve essere rinnovata ogni cinque anni tramite un corso di aggiornamento di almeno quattro ore (di cui almeno tre con moduli pratici).

Tutte le informazioni su questi ed altri corsi le trovate negli elenchi dei corsi, gratuiti e a pagamento, consultabili sul nostro sito alla pagina formazione. Per qualsiasi chiarimento potete contattarmi alla mail: formazione@informagiovaniancona.com

Fundraiser

Fundraiser: alla scoperta di questa “nuova” professione

Quante volte abbiamo letto o sentito parlare di fundraiser o più in generale di fundraising (attività di raccolta fondi)? Cerchiamo di fare chiarezza e comprendere di cosa si occupano i professionisti di questo settore. Con la definizione di fundraiser indichiamo la figura esperta nella raccolta di fondi e finanziamenti per una determinata finalità, solitamente per lo sviluppo di progetti, iniziative legate alle Organizzazioni Profit e Non Profit.
Il settore del fundraising negli ultimi anni ha conosciuto un notevole sviluppo, presumibilmente dovuto alla difficoltà generale che numerose aziende e organizzazioni hanno riscontrato nel reperire delle risorse per nascere e svilupparsi. Fatta questa piccola premessa, iniziamo ad osservare più da vicino l’origine del crescente interesse per la figura del fundraiser.

L’Associazione Italiana Fundraiser ASSIF definisce, nell’articolo 1 del proprio Regolamento, la figura del fundraiser come colui che opera in modo professionale ed etico, remunerato o a titolo gratuito, nella definizione e realizzazione delle strategie di comunicazione sociale, marketing sociale e raccolta fondi per organizzazioni del non profit. Il ruolo di fundraiser è un ruolo cruciale: grazie al suo operato garantisce la sostenibilità finanziaria ed economica dei progetti stessi, rendendoli in definitiva realizzabili. Esistono 4 tipologie di fundraiser descritte all’interno del sito dell’Associazione:

  • Fundraiser professionista: è il manager della raccolta fondi; si occupa della pianificazione strategica e coordina l’intera attività di raccolta fondi;
  • Professionista del fundraising: si occupa della pianificazione (talvolta anche della realizzazione concreta) di aspetti tecnici del fundraising, come il direct marketing, il database dei donatori, ecc.;
  • Operatore del fundraising: si occupa solo della realizzazione concreta della raccolta fondi, all’interno di uno o più settori specifici del fundraising;
  • Consulente di fundraising: come il fundraiser professionista accompagna, anche se dall’esterno, l’organizzazione nella pianificazione strategica dell’attività di fundraising, di alcuni particolari ambiti (corporate, lasciti testamentari ecc.) o di specifici progetti; solitamente non si occupa di operatività.

ASSIF ha redatto un proprio codice etico di riferimento, in cui sono esplicitati chiaramente i rapporti fra i soci ASSIF, i rapporti con le organizzazioni non profit e gli atri beneficiari, le modalità di utilizzo delle risorse remunerazioni, i rapporti con i donatori ecc.

Il fundraiser si occupa di analizzare la “mission” dell’organizzazione per cui lavora, cioè l’obiettivo/progetto di tale ente, è in grado di analizzare e classificare i donatori e le modalità di raccolta fondi e naturalmente è impegnato in un monitoraggio costantemente per verificare il raggiungimento degli obiettivi ed eventualmente l’individuazione delle azioni correttive.

Per chi avesse intenzione di intraprendere questa carriera, quale formazione è suggerita? In generale possiamo affermare che il percorso formativo del fundraiser si colloca tra la sfera economica, giuridica e della comunicazione, nello specifico corsi di laurea in campo delle pubbliche relazioni e scienze della comunicazione, economia aziendale e il marketing. Negli ultimi anni con lo sviluppo di un mercato sempre più competitivo, si consiglia di intraprendere anche un percorso post laurea in fundraising, soprattutto in digital fundraising (ricordate che il web per quest’attività è fondamentale!). L’elenco dei percorsi universitari e master sono in continua crescita non resta che iniziare la ricerca. Per chi invece avesse il semplice interesse nell’approfondire la tematica, esiste una vasta scelta di libri che la trattano come ad esempio “Professione Fundraiser” di Elena Zanella tanto per citarne uno. Oltre ciò esistono dei veri e propri “Festival del Fundraising” nazionali ed internazionali ai quali partecipare.

Un buon fundraiser è in possesso di una personale attitudine estroversa,  è costantemente proiettato verso tipologie di attività che prevedono uno stretto contatto con il pubblico e sicuramente è particolarmente sensibile e interessato al mondo delle organizzazioni non profit a creare investimento sociale partenariati su buone cause e progetti di alto impatto sociale.

Professionisti delle vacanze: secondo appuntamento!

Tutto pronto per il secondo appuntamento di Professionisti delle vacanze, il format dell’Informagiovani di Ancona pensato per far incontrare i potenziali professionisti delle vacanze con gli operatori del settore.

Durante l’incontro avrete modo di conoscere da vicino 4 agenzie di animazione e la loro offerta per la stagione estiva.

Ciascuna agenzia, infatti, presenterà le figure ricercate e le proprie attività e rimarrà a vostra disposizione per chiarire tutti i vostri dubbi e le vostre curiosità.

Alla fine della presentazione, i partecipanti potranno sostenere i colloqui di selezione con tutte o solo con alcune delle 4 agenzie.

Per partecipare ai colloqui occorre avere un c.v. con foto da lasciare alle agenzie.

Se no lo avete o semplicemente volete qualche consiglio su come migliorarlo, potete rivolgervi all’Informagiovani.

Le figure ricercate sono non solo quelle strettamente attinenti all’animazione turistica ma anche figure di altri tipo. Quali? Lo scoprirete giovedì.

Gli aspiranti professionisti delle vacanze dovranno possedere il requisito della maggiore età entro giugno 2017.

L’appuntamento è per giovedì 16 marzo all’Informagiovani.

L’incontro è gratuito ma è necessario iscriversi a questo link.

Il lavoro a bordo delle navi da crociera

Lavorare a bordo delle navi da crociera è un po’ come lavorare in una piccola città dotata di tutti i comfort e servizi; significa scoprire e conoscere usi e costumi e incontrare nuove persone oltre che viaggiare.

Molti giovani sognano di intraprendere un lavoro in mare e in particolare sulle navi da crociera, ma pochi sanno cosa comporta realmente questo tipo di lavoro.

Le mansioni lavorative su una nave da crociera sono tante e comprendono molteplici figure professionali per coprire un numero enorme di posizioni in svariati settori.

I settori sono: intrattenimento, cura personale, lavori sul ponte e nella sala macchine, assistenza, servizi e ospitalità, staff di bordo, meccanico, elettrotecnico ecc.

Per poter lavorare a bordo di una nave da crociera è necessario conseguire il libretto di navigazione ed iscriversi come gente di mare negli uffici marittimi.

Per quanto riguarda i requisiti specifici o tecnici, dipende dalla figura che si andrà a ricoprire, ma è sicuramente indispensabile la conoscenza delle lingue straniere: inglese e un’altra lingua a scelta tra francese, tedesco, spagnolo.

Per determinate figure professionali può essere richiesta una qualifica o un titolo di studio specifico (es. chef, musicisti, personale medico ecc..) oppure un brevetto di istruttore per le attività sportive.

Costa Crociere, in partnership con le principali province italiane e il Fondo sociale europeo,  organizza ogni anno dei percorsi formativi gratuiti riguardanti figure specifiche.

In questo momento, per la regione Marche, sono aperti tre bandi rivolti a disoccupati e/o inoccupati in possesso di diploma e con conoscenza di almeno due lingue straniere.

Due bandi scadono il 16 novembre e sono rivolti a formare le figure di: Tour escort ed Entertainment Technician. Il terzo bando, che scade il 23 novembre, è volto a formare la figura professionale di Photo Operator.

Il Tour Escort è la figura addetta alla programmazione e vendita delle escursioni a terra ed è impegnata come accompagnatore durante le escursioni stesse.

L’Entertainment Technician è la figura che opera bordo in qualità di tecnico audio – suono -luci.

Il Photo Operator è la figura che opera all’interno del photo shop e cura la realizzazione dei servizi fotografici per i croceristi.

Tutti e tre i corsi sono organizzati in collaborazione con il Centro per l’Impiego di Pesaro.

formazione

Scegliere un corso di formazione

Quale corso di formazione posso scegliere? Qual’è il corso più adatto a me?: queste sono alcune delle domande più frequenti che gli operatori di orientamento si sentono rivolgere.

In un mondo del lavoro in continua evoluzione, è naturale che evolvano anche i bisogni delle aziende; vengono richieste sempre nuove competenze e di conseguenza cambiano anche i fabbisogni formativi. Il titolo di studio (diploma o laurea) non è più sufficiente a garantire l’immediato inserimento nel mondo del lavoro ma sempre più spesso deve essere integrato da un percorso formativo in grado di fornire conoscenze più pratiche e specialistiche. Diviene quindi fondamentale scegliere corsi di formazione in grado di fornire tutte le competenze di cui una figura professionale ha bisogno.

L’impresa non è sicuramente semplice dal momento che l’offerta formativa presente sul mercato è vastissima. Tuttavia è possibile seguire alcune indicazioni utili ad una scelta consapevole.

Il primo passo da compiere è cercare di individuare le professioni che il mercato richiede maggiormente senza però prescindere dai propri interessi, dalle proprie inclinazioni, dalle ambizioni personali e dalla passione che farà da filo conduttore a tutta la carriera professionale.

Una volta individuati i propri interessi, è necessario scegliere anche in base alla tipologia di corso, alle caratteristiche dell’ente organizzatore e alla durata del corso stesso.

I corsi di formazione possono, infatti, essere gratuiti o pagamento. Quelli gratuiti possono essere finanziati dal Fondo Sociale Europeo (FSE); quelli a pagamento possono essere autorizzati dalla Provincia. Per ottenere il finanziamento o l’autorizzazione, i corsi vengono sottoposti a valutazione da parte dell’ente Provincia sulla base di criteri di qualità.

Non solo i progetti formativi ma anche gli enti di formazione devono sottostare a criteri di qualità per ottenere il finanziamento o l’autorizzazione del proprio corso. Solo gli enti che rispondono a questi criteri vengono accreditati.

Solo i corsi di formazione organizzati da enti accreditati possono rilasciare qualifiche professionali o diplomi di specializzazione e quindi titoli riconosciuti sul mercato del lavoro.

Sulla scelta di un corso inciderà quindi anche il titolo rilasciato dal corso stesso. In base alla durata del corso, i titoli che si possono ottenere sono: attestato di partecipazione (durata corso: almeno 36 ore), qualifica professionale (durata corso: almeno  400 ore) e diploma di specializzazione (durata corso: almeno 300 ore).

Se state cercando un corso di formazione in ambito regionale, consultate i nostri elenchi alla pagina corsi e concorsi.

Un lavoro felice

Come vi sentite quando state lavorando? Siete contenti, felici ed eccitati oppure tristi, amareggiati e depressi? Alzarsi la mattina per andare a lavorare è uno sforzo sovrumano oppure una eccitante emozione ogni volta? Le due situazioni sono gli estremi comportamenti che forse nessuno di noi ha mai provato realmente. La sensazione che abbiamo quando andiamo a lavorare però non è da sottovalutare: lavorare forse non potrà essere il massimo della felicità ma non può nemmeno essere una tortura quotidiana; come e dove troviamo un giusto equilibrio? Quanto in questo conta una accurata scelta del lavoro che facciamo? Quanto la preparazione e le competenze che coltiviamo possono aiutarci a trovare un lavoro che ci rende felici?

L’equilibrio che stiamo cercando per un lavoro felice si trova lavorando su due aspetti: da una parte le aspettative e dall’altro le offerte e le reali proposte di lavoro. Su entrambi i fronti a essere coinvolti non sono soltanto i dipendenti e collaboratori, ma anche i datori di lavoro e gli imprenditori che vorrebbero avere le persone migliori nella propria azienda. Partiamo con le aspettative: un’analisi fatta negli Stati Uniti ha evidenziato che è in aumento il turnover dei lavoratori in azienda (si tratta del tasso con i dipendenti lasciano un’azienda, ndr), conseguenza dle fatto che oggi i lavoratori si aspettano qualcosa in più di uno stipendio, seppur questo sia il motivo principale per cui lavoriamo. Per esempio una buona parte degli intervistati afferma di non voler lavorare per un’impresa che non ha assunto alcun impegno di carattere sociale o ambientale (e buona parte di questi si dice disposta a lavorare per un salario più basso a fronte di un impegno sociale e ambientale concreto ed evidente dell’azienda).  Un altro aspetto interessante, analizzato dalla società di consulenza Accenture, riguarda i motivi per cui i lavoratori si dicono infelici nel proprio posto di lavoro: mancanza di riconoscimenti, non condivisione alle politiche interne dell’azienda, mancanza di prospettive di sviluppo, problemi con il proprio superiore. Un ultimo dato riguarda chi un lavoro ce lo ha già: per la metà sono persone che mentre lavorano, stanno già cercando una nuovo opportunità. Non è certo l’atteggiamento di chi è felice del posto in cui lavora. Cosa possono fare coloro che si occupano di selezionare il personale per far ein modo che la persona giusta sia nel posto giusto con buona pace e felicità di tutti?

La risposta non è semplice ma abbiamo trovato on line due infografiche (che trovate qui sotto) che raccontano in sintesi quali possono essere le considerazioni da fare da una parte (chi cerca lavoro) e dall’altra (chi lo offre e seleziona il personale) per fare in modo che questi due “opposti” non solo si attirino ma al contempo si piacciano (le infografiche hanno il testo in inglese semplice; le abbiamo trovate qui)

 

 

Per quale professioni siete pronti

Per quale professione siete pronti?

Il mondo delle professioni non è mai stato così poco definito come oggi. Ci sono tanti professionisti che alla domanda “che lavoro fai?” non sanno realmente rispondere o non sanno farlo con un solo nome della loro professione. Il motivo è che attualmente le professioni è più facile descriverle come un insieme di competenze, piuttosto che come una mansione. Fino a qualche tempo fa la cosa non era così, anche contrattualmente: il mansionario, documento utilizzato all’interno delle organizzazioni lavorative, serviva proprio a definire chi faceva cosa e, di controverso, dire che professioni venivamo impiegate.

Le abilità richieste oggi negli ambienti di lavoro, soprattutto quelli meno classici, sono quelle che raccontano i problemi che sappiamo risolvere, gli obiettivi che sappiamo raggiungere e più in generale la nostra adattabilità e preparazione generica a stare in un luogo di lavoro. Questa terza categoria di abilità non è riservata solo ad alcune professioni ma riguarda un po’ tutti. Potremmo dire che sono le capacità che dicono se siamo realmente pronti per essere assunti. Per esempio: siamo in grado di essere puntuali? Sappiamo organizzare un lavoro semplice? Sappiamo gestire uno spazio di lavoro? Sembrano banali, ed alcune di queste lo sono, ma non tutte sono così scontate (se non ci credete provate a chiedere ad un datore di lavoro qualsiasi).

C’è un test da fare on line che si chiama “Skillage: sei pronto ad essere assunto?” con il quale ognuno può verificare se è realmente pronto per lavorare. Noi lo abbiamo fatto ed è stato pure divertente: vi raccontiamo un po’ che ce n’è parso.  Il test verte su 4 aree di competenze che sono “Idoneità a lavoro”, “Produttività”, “Comunicazione”, “Social Media”, “Gestione dei contenuti e sicurezza”. Prima osservazione: una buona aprte delle domande ha a che fare con le tecnologie e con internet in generale: non è più ammissibile che ci sia qualcuno che sta cercando lavoro e che di queste cose, anche poco, non sappia nulla. C’è una domanda che riguarda la fascia di età e, udite udite, da 16 a 24 anni siamo “cazzuti”, ma da 25 in poi siamo già “anziani” (una bella botta di realismo, anche se ironico). Per il resto le domande spaziano su competenze diverse: come utilizziamo i social network, con quali strumenti organizziamo banche dati e archivi, come gestiamo aspetti cruciali come quello della sicurezza e della riservatezze. Noi vi consigliamo di provarlo e verificare, con il report finale, quanto e cosa ancora dovete imparare.

Cosa sono le competenze?

Sono in molti a pensare che i lavori di domani si fonderanno sulle competenze piuttosto che sui titoli. Spieghiamo la differenza, almeno a nostro modo di vedere. I titoli sono “etichette” che possiamo metterci ed esibire quando qualcuno ce le consegna. Così diventiamo ingegneri, per esempio, solo quando, dopo un percorso universitario, otteniamo il titolo di studio della laurea in ingegneria; oppure siamo giornalisti solo quando un ordine, previo apposito iter ed esame, dichiara che possiamo firmare articoli di giornali e riviste. Niente di male, per carità. Solo che questo meccanismo oltre ad avere indubbi vantaggi (pensate ad esempio alla professione del medico, per la quale il titolo garantisce uno standard di qualità e sicurezza per tutti) ha anche qualche pecca. Per esempio non contempla professioni emergenti che, non rientrando dentro nessuna categoria già preordinata, sfuggono anche a titoli di qualsiasi genere (quando potete dire di essere social media manager?).

Ma il difetto, se così lo vogliamo chiamare, più grande è la logica che sottende a questo tipo di impostazione. Avere un titolo ci fa pensare (a volte pretendere) che sia nostro diritto avere anche un lavoro, una mansione retribuita per quel tipo di titolo. Non che la pretesa sia assurda, ma cosa succede se dato un tot di laureati in giurisprudenza non ci sono posizioni sufficienti per tutti? La risposta nella realtà la conoscete tutti. Questo meccanismo non è sbagliato in senso assoluto, solo che non corrisponde più e non è più adattabile all’attuale mercato del lavoro.  Proviamo avedere se, diversamente, può accadere qualcosa di diverso partendo dalle competenze.

Innanzitutto: cosa sono le competenze? Etimologicamente competenza deriva dal tardo latino competentia, sostantivo di competere (cum, insieme, più petere, dirigersi verso, cercare di avere, aspirare). Competere significa dunque: –Incontrarsi, convergere al medesimo punto –Concordare –Spettare, essere applicabile –Essere padrone di se stesso, cercare insieme (allo stesso tempo) di ottenere qualcosa –Essere adatto, capace di (in senso figurato). Riprendendo una definizione più vicina ai temi del lavoro, proposta da ISFOL, la competenza professionale è un insieme di elementi/dimensioni che concorrono all’efficacia di un comportamento professionale; è finalizzata all’azione ed è intrecciata alla capacità di fare e alla conoscenza delle situazioni e dei contesti. insomma dentro la competenza c’è tutta la nostra professionalità; e l’insieme delle nostre competenze fa di noi professionisti di un determinato campo. Avere delle competenze, quando cerchiamo lavoro, dovrebbe farci fare questa domanda: a chi possono essere utili? L’ottica, rispetto a quella del “posto di lavoro” per titoli, è nettamente diversa anche se il risultato atteso è identico.

Se cominciamo a porci nel mercato del lavoro come professionisti in grado di offrire delle competenze la strategia che dovremmo seguire non è tanto quella di trovare un posto, quanto quella di capire quale bisogno o quale utilità possiamo offrire a chi ci potrebbe pagare per avere i nostri servizi. Il meccanismo che regola questa strategia è lo stesso che seguono aziende ed imprenditori quando decidono di posizionarsi in un mercato. C’è un libro che racconta meglio e in maniera più esaustiva tutto questo: è “Business model you” di Tim Clark, tradotto anche in italiano dalla casa editrice Hoepli. Ah, se volete potete consultarlo gratuitamente anche all’Informagiovani!

Concentrazione minima

“Attenzione!” è questo l’incitamento che con maggiore frequenza e facilità troviamo in contesti diversi della nostra vita: per strada, a scuola, in casa. “Attenzione” è un ammonimento, ma anche un avvertimento, che richiama all’ordine prima il nostro sguardo e poi la nostra mente. La nostra mente ha, infatti, una forte inclinazione a disimpegnarsi, a divagare (e la frequenza con cui questo richiamo viene fatto ne è la dimostrazione). A chi non è capitato di distrarsi? O, meglio, chi non è mai distratto? La disattenzione, a parte i film di spie e 007, è un fattore intrinseco dell’essere umano: tutti noi ci distraiamo (e peggio sarebbe se non fosse così).

La mente umana, spesso e volentieri, vaga senza una meta apparente: non significa che sia inattiva, semplicemente non è focalizzata su di un obiettivo (e quel “attenzione!” magari gridato serve proprio a ricondurci all’obiettivo). Quando ci capita di distrarci, però, non è che il nostro cervello se ne stia lì ad oziare: nel concedersi spazi di svago, nel distaccarsi dalla contingenza la mente esercita anche altre facoltà, con esisti vantaggiosi per noi stessi e gli altri. E allora: a che cosa pensiamo quando non pensiamo a nulla? In un libro intitolato “The wandering mind” (sottotitolo tradotto: che cosa fa la mente quando non guardi”) si cerca danno più risposte a questa domanda. Quello che il nostro cervello fa durante lo “svago” è una ricombinazione di stimoli che durante la fase di attenzione ha ricevuto. La nostra memoria è composta infatti da tre sostanziali livelli. Il primo è quello delle competenze (skills) come per esempio parlare, camminare, scrivere, ecc. Il secondo livello è quello delle conoscenze (knowledge): si tratta dell’insieme delle nozioni che abbiamo ricevuto, in tutti i contesti in cui le abbiamo assimilate (non solo, quindi, la didattica formale). E infine quella che viene definita più comunemente come memoria, cioè la capacità di ricordare, riattivare esperienze del passato. Su questo ultimo livello la nostra mente, stranamente, propende più a guardare la futuro che non al passato, tanto è vero che le zone cerebrali che si attivano ricordando eventi del passato, sono le stesse che si attivano quando pensiamo al futuro.

Se paragoniamo il nostro cervello ad una città, nelle fasi di ozio non è che le strade siano deserte, ma gli abitanti attendono a casa propria salvo confluire in un medesimo posto quando accade un evento importante. Quindi quando divaghiamo, in realtà viaggiamo: oltre che tornare al passato, facciamo anche dei viaggi futuristici immaginandoci possibili scenari futuri. E poi facciamo anche un’altra cosa incredibile: secondo la “teoria della mente” abbiamo l’attitudine a rappresentarci gli stati mentali altrui. In altre parole ci facciamo delle domande e cerchiamo delle risposte su quello che potrebbero pensare gli altri. A volte facciamo anche il salto del cosiddetto “mettersi nei panni degli altri”: sviluppare la disposizione a mettersi nei panni altrui aumenta ala possibilità di comprensione reciproca, di empatia e interesse sociale, con evidenti vantaggi per la sopravvivenza del gruppo.

Questo vagabondare della nostra mente è anche alla base della creatività: si passa dalla fantasticheria privata a un esercizio sociale dell’immaginazione; è il piacere di girovagare nella mente altrui che ci induce a creare personaggi d’invenzione, apposta per questo scopo; ed è il piacere di spostarsi nel tempo che ci porta a inventare trame e storie. Anche l’attività di narrare è una forma di adattamento: i nostri remoti progenitori sono letteralmente diventati umani narrando, usando cioè il linguaggio per riferire, condividere, tesaurizzare esperienze ritenute rilevanti.

D’ora in poi quando qualcuno ci coglierà nel pieno della nostra distrazione potremo rispondere a quel monito (attenzione!) dicendo tranquillamente che stavamo viaggiando per raccontare storie e che quello che riusciremo a produrre grazie a questo metodo sarò molto più proficuo di quanto verrebbe fuori se rimanessimo instancabilmente focalizzati su di un solo obiettivo. Con buoan pace di chi ci vorrebbe soltanto come task manager, siamo in realtà dei poeti sognatori. 🙂

 

 

 

Come (rischiare di) perdere il lavoro

Solitamente consigliamo le cose che si DEVONO fare per trovare un lavoro. Ma forse possono essere utili anche quelle che si devono EVITARE per non rischiare di perdere quella che potrebbe essere un’opportunità lavorativa. Perché se è vero che un buon curriculum può aiutare a fare una bella impressione, è altrettanto dimostrato che mostrarsi trasandati fa ottenere l’effetto contrario. Leggendo un articolo tratto dalla rivista Business Insider abbiamo trovato alcuni comportamenti, atteggiamenti e stili che potrebbero essere a rischio “perdita di lavoro”: eccoli qua.

Poca attenzione: ci sono candidati che durante il colloquio prendono nota delle cose che vengono dette oppure fanno domande sull’azienda e sul ruolo; poi ci sono quelli che invece, con sguardo fisso, ascoltano senza alcun feedback quello che viene detto loro. Ecco, questi secondi stanno perdendo punti preziosi.

Esibizionismo: c’è chi cerca di attirare attenzione su di sè o sul proprio cv con effetti speciali, colori sgargianti, decorazioni floreali, un linguaggio esageratamente pittoresco. Cercano in tutti i modi di attirare l’attenzione: probabilmente ottengono il risultato sperato, ma l’attenzione è di un altro tipo (quella che abbiamo per un pagliaccio, non per un professionista).

Bere e fumare: non è affatto una buona idea bere qualcosa di alcolico prima di un colloquio perché se è vero che questo potrebbe calmare i nervi, si rischia invece di sembrare un po’ annebbiati oppure non troppo intelligenti; il fumo invece ci lascia addosso un odore inequivocabile ed anche se questo di per sé potrebbe non essere un problema, accade però che i selezionatori danno molta importanza alle nostre abitudini di vita che possono incidere sul luogo di lavoro.

Poca cura personale: quella della igiene personale non è una questione da sottovalutare; non sono per fortuna molti quelli a trascurarla, ma bisogna fare attenzione anche alla cura dei particolari, cercando di provvedere alla pulizia delle mani per esempio, oppure a qualche rimedio per una eventuale eccessiva sudorazione.

Mandare messaggi: speriamo che nessuno di voi abbia in mente di mettersi a scrivere un messaggio durante un colloquio; lo sconsigliamo anche nel caso lo facciate in quei momenti in cui siete in attesa (magari perché, giustamente, siete arrivati un po’ prima dell’orario prefissato). Questo perché, al posto del messaggio, nelle sale di attesa delle aziende potreste raccogliere utili spunti da utilizzare nel colloquio (che dite, leggendo una brochure aziendale per esempio?).

Portarsi dietro un sacco di roba: presentarsi ad un colloquio con troppe cose in mano o al seguito (agenda, telefono, bottiglietta d’acqua, scartoffie varie) non è un buon contributo per generare una buona impressione; il vostro curriculum, una penna con un foglio per gli appunti sono più che sufficienti (sì, il telefono lo potete lasciare da parte).

Esagerare: chiaramente l’obiettivo di ogni buon candidato è quello di stupire, impressionare il selezionatore che ha davanti (costi quel che costi). E quindi via a raccontare tutto ciò che si è fatto e che ci è accaduto senza accorgersi, a volte, di straripare in uno sproloquio che rischia di fare davvero una cattiva impressione. Per evitarlo alcuni piccoli accorgimenti: dire le cose rilevanti, tenere fuori dalla discussione la vita privata, ascoltare (e fare delle domande). La declinazione peggiore del candidato strabordante è quello che interrompe mentre parlano gli altri: dimostra mancanza di rispetto e anche poca attenzione (da evitare assolutamente).

Non far parlare il corpo: le parole sono importanti, ma lo è anche il linguaggio del nostro corpo; per esempio se scegliamo di non sorridere, di non guardare l’interlocutore in faccia e di avere una cattiva postura (quasi sdraiati sulla sedia, la testa appoggiata alle mani o ancor peggio sul tavolo per fare un paio di esempi) stiamo contribuendo a gran parte del nostro insuccesso con comportamenti a volte involontari.

Ci potrebbero essere anche altre cose da dire (e ce ne sono se avete voglia di leggere per intero l’articolo su Business Insider, in inglese). Noi ci auguriamo che anche solo questi descritti possano aiutarvi a fare la migliore prima impressione che potete. E in bocca al lupo per il vostro futuro lavoro!

 

Il lavoro a tempo indeterminato non è un successo

Da quanto tempo ormai sentiamo dire che la parola d’ordine è flessibilità? Che i tempi del lavoro sicuro sono finiti? Che probabilmente nel corso della vita dovremo cambiare più lavori e forse anche più professioni? Anche se questi “mantra” sono ripetuti da almeno dieci anni, sono sicuro che in realtà sono ancora in molti a sperare nella soluzione definitiva nel momento in cui firmano un contratto di lavoro, mandano un cv, rispondono ad un annuncio.

La realtà è che con il passare del tempo i segnali che qualcosa di strutturale nel mondo del lavoro sta cambiando ed è già cambiata ci sono: il calo senza freni del numero degli assunti con contratti a tempo indeterminato, le nuove regole che prevedono contratti molto più flessibili anche per le assunzioni di lungo periodo, l’aumento esponenziale delle partite IVA e dei lavori occasionali, la generazione a volte eccessiva di nuove attività imprenditoriali in sostituzione di servizi e mansioni che prima erano in capo a dipendenti. Sono segni evidenti di precarizzazione la cui causa non è sempre e soltanto da ricercare nelle politiche di una singola nazione, ma risiedono in una economia globalepiuttosto complessa (e che non affronteremo qui).

Però non tutti i mali vengono per nuocere e, soprattutto, l’uomo è animale di grande adattabilità. In un articolo comparso sulla testata on line BloomberBusiness sonoa rrivati a titolare che “L’anniversario di dieci anni di lavoro in uno stesso posto è un fallimento“.  Una ricerca fatta tra i giovani americani nati tra il 1982 e il 2004 (questi ultimi ancora un po’ piccoli a dir la verità) rivela (e rileva) che il mantenimento di uno stesso posto di lavoro per lungo tempo non è una conquista ma addirittura potrebbe essere una sconfitta. Uno di loro afferma che è più facile parlare di crescita della propria carriera se si è in grado di attraversare aziende diverse piuttosto che rimanere in uno stesso posto nel medesimo lasso di tempo (e lo dice uno che a 27 anni ha cambiato già tre volte posto di lavoro).

Mac Schwerin, questo è il suo nome, afferma anche un’altra cosa interessante e un po’ provocatoria: è più facile raccontare e rappresentare i propri successi se si riesce a dimostrare di portare risultati ovunque si vada. Questa opinione è condivisa da molti millenials (i nati di cui sopra) interpellati nel sondaggio svolto dalla società di consulenza Deloitte. Il motivo è anche legato al fatto che stiamo parlando di giovani che hanno concluso gli studi in un periodo di recessione economica e di mercato di lavoro molto competitivo: in qualche misura sono abituati a vedere e vivere la propria carriera professionale in maniera radicalmente diversa: vogliono le stesse cose delle generazioni precedenti (casa, famiglia, ecc) ma sono convinti di ottenerle con un percorso diverso.

Ci sono però due considerazioni a margine da fare. La prima è che, per loro stessa ammissione, il loro punto di vista cambierebbe se fossero assunti in azienda di “prima classe” (Tesla, Facebook, Google).  La seconda è che stiamo parlando del mercato americano dove la percentuale di giovani rappresenta la parte più ampia del mercato del lavoro. Credo che, anche alla luce di questi due assunti finali, potremmo trarne anche noi considerazioni utili e interessanti su come affrontare le nostre sfide “casalinghe” con il mondo del lavoro.