Jobs act per donne (e non solo)

jobs act per donneLungi dal compiersi delle pari opportunità effettive, nel nostro Paese qualcosa si muove anche per quello che riguarda il mondo del lavoro e le donne. I problemi sono diversi e rilevanti: l’accessibilità alla carriera, il riconoscimento delle competenze, la valutazione effettiva dei risultati, la discriminazione di fatto in alcuni settori. Ma anche quando il lavoro è una opportunità effettiva i problemi non mancano. Come abbiamo letto qui il dato tutto italiano è l’abbandono del lavoro delle mamme alla nascita del primo figlio: lo fa quasi un terzo delle donne occupate, secondo i dati diffusi dall’Istat e dall’Isfol. Se infatti prima della nascita dei figli lavorano 59 donne su 100, dopo la maternità ne continuano a lavorare solo 43“. Dunque un nodo cruciale è senz’altro (e ancora!) la maternità.

Qualcosa forse potrà cambiare nei prossimi mesi, perlomeno a livello giuridico. Infatti una delle deleghe previste dal jobs act riguarda la tutela della genitorialità (i figli non sono una questione riservata alle donne che li partoriscono). Come ormai avrete imparato il famigerato jobs act è una sorta di cornice di riferimento per una serie di azioni che riguardano il lavoro; cornice dalla quale poi nasceranno normative specifiche per regolare i singoli settori di intervento. E così, anche in questo caso, ci sono le linee guida che poi i successivi interventi normativi dovranno seguire. Ecco quelle che riguardano il lavoro e le donne: rafforzamento nella tutela dei diritti; misure fiscali per favorire la partecipazione del secondo percettore di reddito; potenziamento dell’offerta di servizi; flessibilità. Che cosa potrebbero significare nel concreto?

L’articolo di Casarico e Del Boca su Lavoce.info lo spiegano in questo modo. Un primo passo importante sarà in primo luogo l’estensione del diritto al congedo di maternità a tutte le categorie di donne lavoratrici. Un secondo passaggio sarà quello del credito di imposta: un credito per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale. L’obiettivo in questo secondo caso è anche quello di costituire un importante incentivo all’offerta di lavoro. Rimane però il nodo dei contratti a progetto: il jobs act non li abolisce, nemmeno per le donne o per certe situazioni contingenti, come la maternità, che potrebbero far scattare una riserva di tutela aggiuntiva.  “Ciò può avere effetti più pesanti per le donne, che già ora più numerose nei contratti a termine (14,2 per cento contro il 12,6 per cento per gli uomini nel 2013): i datori di lavoro avrebbero infatti possibilità di fare alle donne contratti brevi e di non rinnovarli alla scadenza in caso di gravidanza, aggirando i vincoli alle dimissioni in bianco.

Dal punto di vista dell’assistenza il jobs act propone anche una profonda integrazione pubblico-privato dell’offerta di servizi per l’infanzia. Quello a cui dovremmo assistere dovrebbe essere l’estensione di una buona pratica adottata in alcune regioni come l’Emilia Romagna in cui anche in tempo di crisi gli asili non sono diminuiti, anzi in certi casi aumentati. Dovrebbero così aumentare in numero ed in qualità servizi come l’asilo aziendale, quello condominiale e più in generale un’offerta di assistenza all’infanzia e alla genitorialità più varia. Infine per quello che riguarda la flessibilità (quella buona) dovrebbero riguardare prevalentemente le donne misure come il telelavoro, la flessibilità di orario di lavoro e la possibilità di cessione dei giorni di ferie tra lavoratori per attività di cura di figli minori.

Fin qui sembra tutto ok. C’è un “ma”. Queste misure sono subordinate alla condizione che non comportino ulteriori spese a carico dello Stato. E su questo punto ci sembra di poter condividere e sottoscrivere la considerazione finale delle due redattrici dell’articolo: “il rischio è che per quanto significative o condivisibili possano essere le politiche, la loro realizzazione dipenderà dall’effettivo reperimento di risorse economiche. E finora il nostro paese non è riuscito a considerare queste misure come prioritarie per lo sviluppo, e quindi in cima all’agenda politica. Un cambio di passo è quanto mai necessario“. Chiaramente, ci auguriamo anche noi un cambio di passo: non solo per le donne, ma per tutti noi.

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