La voce del popolo (del web)

bufaleC’è un tema sotteso a tutto quello che scorre sul web: il tema delle bufale (e non stiamo parlando dei simpatici animali da cui derivano i famosi latticini). Le bufale sono le notizie parzialmente o totalmente false che vengono spacciate come vere: perché? Ma la domanda vera è: perché ci crediamo? I motivi principali sono due. Il primo è che crediamo a quello che ci fa più piacere o comodo o ci gratifica; oppure ci piace perché è una notizia “bomba” o sensazionale e straordinaria. In questi casi la nostra parte emozionale prende il sopravvento ed in qualche caso ci fa andare avanti per “economia”: è più facile e meno faticoso credere a quello che istintivamente, per ricordi passati, per sensazioni archiviate mi sembra corretto e plausibile, piuttosto che metterlo in discussione, fare una ricerca, verificare se quello che ho sentito o letto proviene da una fonte attendibile.

E arriviamo al secondo  motivo: spesso quando ci arrivano le informazioni, non controlliamo le fonti. E, sempre di più, non ci facciamo domande sulla plausibilità di certe affermazioni o sulla reale possibilità che certi fatti siano accaduti. Complice una realtà sempre più “variegata” e un flusso di notizie così grande e proveniente da tutto il mondo, siamo portati a considerare quello che leggiamo sempre con lo stesso metro di giudizio e sempre con la stessa propensione a pensare che sia vero, autentico, reale. A volte per formulare un giudizio meno aderente e in simbiosi con quel che leggiamo ci servirebbero più informazioni o maggiori competenze altrimenti rischiamo di non capire appieno quello di cui si discute. Altre volte servirebbe e sarebbe sufficiente invece un po’ di logica ed un minimo di buon senso (qualche tempo un ministro dell’università si complimentò con chi aveva costruito un tunnel di centinaia di chilometri per far viaggiare delle particelle atomiche: chissà se in quel caso fu mancanza di informazioni o di buon senso).

C’è infine un altro grande tema legato alla circolazione delle informazioni e più in generale alla possibilità che hanno certe opinioni di circolare. Uno studio recente sulle competenze umane ha portato alla luce un comportamento singolare e al contempo abbastanza mortificante per certi versi. In questo articolo di Wired viene riportata la ricerca fatta sulla credibilità che assegniamo anche a chi non è competente in una certa materia. Succede che “anche per i più razionali di noi, è difficile ignorare l’appassionato parere dei propri contatti su qualunque questione, anche quando siamo perfettamente consapevoli che non possiedono le basi per esprimere un parere specialistico“. Ad esempio in caso di un piccolo malanno o di un infortunio a chi non è capitato di chiedere lumi ad un amico che ha passato la stessa sorte? E chi di noi non ha poi magari seguito le stesse indicazioni terapeutiche? O scelto lo stesso percorso curativo? Quanti di noi, ancora più irrazionalmente, ricercano su Google i sintomi che provano? Sono tutti casi in cui ci affidiamo ad informazioni e “consulenze” evidentemente non competenti.

A questo comportamento i ricercatori hanno dato una spiegazione: “questo difetto cognitivo sarebbe in molte condizioni vantaggioso perché permetterebbe di portare a termine un lavoro di gruppo più in fretta e sviluppando meno stress. La condizione è però che tutti i membri del gruppo, anche se con prestazioni variabili, siano comunque di competenze paragonabili rispetto al compito che devono svolgere insieme. Se invece le competenze sono molto diverse, allora il gruppo può essere trascinato in decisioni che sono in grado di danneggiare tutti“.

Un vecchio adagio recitava: “prima di parlare contafino a 10”. Potremmo trasformarlo in “prima di diffondere, conta fino a 10”.

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